IL MISTERO DEL CIELO di Alida Maria Sessa

In punta di piedi, il Qcapo rovesciato verso la profondità del cielo, le mani protese a sostenere e puntare sulla Volta celeste un cannocchiale. I piedi poggiano su una semisfera in bronzo su cui compaiono tutti i simboli del sapere astronomico preesistente a partire dagli Assiri, passando per gli Egizi, Greci nonché attraverso le simbologie celesti delle civiltà precolombiane. Ecco la metafora delicata e potente con cui Enrico Benaglia sintetizza e risolve la complessa vicenda umana, storica e scientifica di Galileo Galilei.

 

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Il segno forte della scultura non è dato dalla posizione della figura che poggia sul sapere consolidato ed “autorizzato” dalla cultura del tempo, nei solchi lasciati dalla visione antropocentrica dell’uomo prima nella teologia, poi nella filosofia e nella stessa visione del mondo. Né dal fatto che la figura si slancia isolata ed in movimento, come colta durante il suo lavoro di osservazione. Anche per affrontare lo scienziato pisano Benaglia ha evitato ogni canone formale e frontale per ritagliargli, secondo la sua consueta estetica, una figura guizzante ed instabile. Il suo modo di parlarci della fragilità e solitudine del destino umano.

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Il fulcro della scultura è in ciò che manca. Le mani sono atteggiate a sostenere un cannocchiale che non c’è.L’occhio è allineato perfettamente al fuoco del cannocchiale, tanto che per l’esposizione il maestro ha pensato non solo ad una rotazione del bronzo su un supporto mobile, ma anche ad un raggio luminoso che passa dall’occhio al centro dell’ipotetico telescopio.

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Ecco qualcuno ha sfilato dalle mani di Galileo lo strumento che gli ha permesso di indagare il cielo e ribaltare la struttura gravitazionale di ogni sistema celeste. Ha subito un processo, è stato costretto ad abiurare, a vivere un regime di arresti domiciliari nella sua casa toscana. Credono di avergli tolto tutto. Non è così.

E’ stato colpito profondamente come scienziato e come uomo. Perché non solo ha formulato dalla cattedra di Padova un teoria rivoluzionaria suffragata da un nuovo metodo sperimentale ma ha voluto pubblicare in un libro il frutto delle sue ricerche. E questo è intollerabile. La diffusione fuori controllo di una pubblicazione scatena prima l’attenzione e poi la collera del Santo Uffizio.

 

“Eppur si muove.” Per Benaglia niente recriminazioni, nessuna accusa, nessun senso del martirio. Galileo non è un vecchio avvilito dall’arroganza di un potere che condanna ciò che potrebbe destabilizzare lo statu quo. Gli hanno tolto la cattedra, il prestigio accademico, la possibilità di diffondere la pubblicazione (il cannocchiale, per l’appunto) ma nessuno può impedirgli di guardare il cielo notturno, puntare lo sguardo in un cannocchiale ideale fatto dalle sue dita e di verificare ancora, notte dopo notte, la sacrosanta verità scientifica della sua scoperta.

L’ energia dinamica della scultura ci parla di un Galileo irriducibile, indomabile perché consapevole di sé. Provato dalla situazione traumatica del contesto storico in cui si muove, ha ancora e sempre la forza di alzarsi sulla punta dei piedi e di puntare ad occhio nudo la volta celeste. Non è stato sconfitto. Non si è arreso. Crede in ciò che ha scoperto e guarda in alto. Oltre la mediocrità del Potere, oltre l’invidia degli uomini, oltre la violenza della cultura consolidata che ha paura del “Nuovo”.
“Eppur si muove.” Un messaggio di resilienza, di intelligenza, di tempra morale. La sintesi di Benaglia per dire senza magniloquenza, anzi con un’ironia silenziosa, l’ammirazione di fronte ad un Grande.